Lecce

LA STORIA DI LECCE

Stemma Lecce

Lo stemma della città reca una lupa incedente e un albero di leccio coronato da cinque torri. La lupa e il leccio sono gli elementi simbolici che hanno dato il nome alla città: Lecce. Lecce, infatti, ha una derivazione glottologica sia dall’antico nome della città, Lupiae, sia dal termine ilex che significa “leccio”.
L’antichissima origine della città è attestata da numerosi avanzi archeologici trovati nel luogo. I Romani crearono la leggenda secondo la quale fondatore della città sarebbe stato Malennio, re dei Salentini e antenato dell’Imperatore Marco Aurelio. I Greci la chiamarono Luppia, con i Normanni il nome si trasformò in Licea, con gli Svevi in Litium che, attraverso le naturali mutazioni fonetiche divenne ben presto Lizze, poi Liccio e finalmente Lecce, e da questo si può comprendere il significato dello stemma civico che è raffigurato da un lupo appostato sotto un leccio.

Molte località della Penisola Salentina custodivano nel sottosuolo numerosi reperti, coperti da un alto strato di terra, accumulatosi lungo i secoli, testimonianza di civiltà che si insediarono sul posto prima dei Greci e dei Romani. Durante la seconda metà del secolo scorso iniziarono vaste e accurate ricerche archeologiche che portarono alla scoperta di interessante materiale attualmente conservato nel Museo Provinciale Sigismondo Castromediano. Dall’arte con cui questi reperti sono lavorati, risulta che debbono essere appartenuti a un popolo venuto dall’oriente e insediatosi nella Penisola Salentina, dove costruì città e castelli, circondati da mura saldissime fatte di massi sovrapposti senza cemento. Costruirono inoltre edifici civili e religiosi, lasciando in essi testimonianze non solo di arte, ma anche di cultura in numerosi scritti che rimangono ancora oggi indecifrabili. A questo popolo, la cui storia è ancora avvolta nel mistero, fu dato il nome di Messapi, Lecce risale dunque alle tribù messapiche. Talvolta, da alcuni scavi, viene alla luce materiale sovrapposto nel seguente ordine: messapico, greco e romano. Questa disposizione indica chiaramente il succedersi di queste civiltà nella città di Lecce. In epoca romana Lupiae ebbe dai fratelli Gracchi (I sec. A.C.) onori e prerogative di municipio, come attestano colonne, statue, mosaici, tombe, avanzi di mura e alcuni iscrizioni famose. Al tempo di Strabone (65 a.C.-20 d.C.) anche Lupiae aveva perso l’antico splendore, se egli potè annoverarla tra le “salentinae ignobiles urbes”. Al piccolo porto di San Cataldo sbarcò Ottaviano, e si fece proclamare imperatore quando dall’Oriente, appresa la morte di Cesare, accorse a Roma per punire gli uccisori. Questo porto fu, nell’anno 130 d.C., sistemato, abbellito e ingrandito dall’imperatore Adriano; e infine tutta la città conobbe un periodo di benessere economico e di ampliamento edilizio sotto Marco Aurelio. Lecce fu collegata a Brindisi con un prolungamento della Via Traiana. Ma vennero tempi tristi per la città, indifesa per terra ed esposta ad attacchi del mare. Durante tutto l’alto Medioevo Lecce subì saccheggi, invasioni e distribuzioni prima e per ben due volte, da parte di Totila, nel 542 e nel 549; poi dai bizantini che, instauratavi la loro cultura e civiltà, dominarono la città, sempre osteggiati dai Longobardi, dai Saraceni e dai corsari. Ma ben presto si profilò all’orizzonte un periodo di gloria e di prosperità, i Normanni sconfissero i Saraceni e fecero Lecce la sede del loro dominio rendendola ricca di cultura e di civiltà. Ecco, infatti, nel 1040, Guglielmo Braccio di Ferro, principe valoroso e magnanimo, calare dal Nord, strappare tutta la Puglia ai Greci ed arrivare ad Otranto. Il suo discendente, Goffredo I, trasportando la capitale del territorio conquistato da Otranto, indifesa contro probabili improvvise irruzioni dei Bizantini a Lecce, fondò la contea e ne ricevette l’investitura. Goffredo si preoccupò di rendere accetto il suo governo ai Leccesi, egli, infatti, fece della città un centro fiorentissimo di scienze, lettere, arti vi fece convenire da ogni parte d’Italia e d’Oriente nobili e cavalieri a dare prova del loro valore e del loro sapere nelle giostre e nei tornei; in questo modo egli si accaparrò l’ammirazione e la stima dei cittadini. Sotto gli Altavilla, la città passò da Goffredo a Ruggero II che, nel 1930, riunì le terre conquistate in continente e in Sicilia, estendendo e dando unità al regno normanno; e poi ai suoi figli Ruggiero e Guglielmo I il Malo; questi, per prima cosa allontanò dalla città il nipote Tancredi, figlio del fratello Ruggiero, credendo potesse minacciare il suo scettro. Ma Guglielmo II il Buono, successo al padre Guglielmo I il Malo, riabilitò Tancredi creandolo conte di Lecce.

Nel secolo XIV Lecce conobbe il dominio angioino, sotto la dinastia dei Brienne e, successivamente, nel 1353, quello degli Enghien, nella persona di Pietro d’Enghien, che governò la città per cinque anni. Gli successe la sorella Maria che scrisse una pagina gloriosa nella storia della città, fu amata e ricordata con gratitudine, e fino al secolo scorso fu familiarmente chiamata la nostra Maria. Divenuta a diciassette anni contessa di Lecce, sposò Raimondo Del Balzo Orsini, un potente feudatario, coraggioso e spregiudicato guerriero. Quest’ultimo ebbe il merito di considerare Maria sua ispiratrice e collaboratrice nel governo. I due principi fondarono il “Concistorium principis”, un tribunale cioè per l’amministrazione della giustizia, e a Maria d’Enghien è anche legata la compilazione di notevoli statuti per il buon governo della città. Morta nel 1446, fu sepolta in Santa Croce.
Nel 1458 il re Ferrante d’Aragona, constatato lo straordinario progresso della città la dichiarò metropoli; in quel periodo, infatti, davano frutto i semi dell’opera di Maria d’Enghien e Lecce divenne fiorente centro di commerci, dove operavano mercati veneziani, greci, genovesi, fiorentini e albanesi.

Col secolo XIV ricominciarono vastissime e crudeli incursioni di corsari africani che costrinsero la popolazione a rinchiudersi nella città che venne cinta di mura, di torri e fortificazioni, erette per volere di Carlo V, nel 1540; egli costruì l’antico castello al centro della città, munendolo di venti baluardi e circondandolo tutt’intorno con un fossato.
Nella Lecce moderna, eccetto il castello tuttora maestoso, poco rimane delle imponenti costruzioni, in parte distrutte, in parte conglobate in costruzioni successive. Rimane, invece la porta della città che volge a Napoli, eretta dai leccesi in onore del Monarca che si prodigò per ridonare loro l’antico, fiorente splendore.

Fu quindi la volta della Spagna, sotto il cui dominio, che tanto influì sul vasto Barocco della città, Lecce rimase, finchè i primi aneliti di indipendenza e libertà la risvegliarono, generosa ed attiva, nel secolo scorso, attraverso i primi moti carbonari, i rinnovamenti politici e le guerre d’indipendenza.

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